LUCA MASPER
Mancato sportivo, ma visionario venditore di forbici giapponesi di altissima qualità.
Nasco come un bimbo sereno e pieno di capelli, così dice sempre mia mamma, orgogliosa mi portava in giro per la nursery degli Ospedali Riuniti di Bergamo, circa agli inizi degli anni Sessanta.
Un infanzia e l’adolescenza trascorsa tra Bergamo, la Liguria e Cannes, inevitabile per cui divenissi amante del mare e dei sapori tipici, tipo quelli delle olive nere, dei pini marittimi e dell’olio che si spalma sul corpo d’estate.
A dirla tutta ero portato per lo sport e parecchio!
Nel calcio di allora si giocava più che altro al “tacalabala” ed io me la vidi bene di giocare come portiere, non ero evidentemente portato alla corsa, ma nemmeno questo sotterfugio servì a molto. Nonostante una buona militanza in squadre prestigiose, persi qualche diottria di troppo e l’ultima cosa che vidi con chiarezza, fu un sacchetto della spazzatura con dentro ginocchiere e tutto l’occorrente, portato da mia madre in una fredda sera d’inverno nel bidone condominiale dei rifiuti.
Scoprii il windsurf quando in Italia le Brigate Rosse rapirono Aldo Moro, anche qui un segno del destino. Il windsurf mi ha dato tanto quanto io ho dato a questo sport meraviglioso. Vent’ anni quasi, passati a mollo in acqua, ma perlomeno girando mezzo mondo.
Le ragazze restavano estasiate si, quando gli raccontavo che facevo doppi salti mortali sulle onde delle Hawaii, poi ci voleva un attimo per capire che non corrispondeva a verità, bastava che scendessi in acqua ed il sogno svaniva. Tutt’al più filavo ma per davvero, veloce come una scheggia da una parte all’altra delle sponde del Garda, anche in inverno e scusate non è poco e l’acqua era fredda.
Il segno del destino era quello del rapimento ed in effetti su un assolata spiaggia a sud di Rodi mi rubarono tutta la mia costosissima attrezzatura nell’estate del 1992.
Era una notte di piombo in spiaggia, al mio risveglio nulla, tutto rubato. Smisi il windsurf per il dolore che provai quella mattina.
Allora decisi di lavorare…
o meglio di lavorare meglio.
Io già lavoravo dall’età di diciotto anni, curavo la piccola azienda di mio padre che produceva prodotti tipo shampoo e cose del genere. Ero il factotum, producevo i prodotti, li impacchettavo, fatturavo e trasportavo ai clienti, sempre con la mia fida station wagon, forse non bianca allora.
Mio padre invece vendeva, era un venditore nato.
Questa micro-azienda chiuse i battenti nel 1994 dopo anni di gloriosa attività, che mi lasciò qualcosa come ben quattro milioni di lire in tasca.
Dicevo di lavorare meglio, ecco.
La disperazione null’altro credetemi, mi portò a vendere le prime forbici Matsuzaki sulla provincia di Bergamo. Scoprii di avere talento e passione verso le forbici, ma tanto. Divenni nell’arco di un anno il distributore per l’Italia, del marchio giapponese storico. La storia passa anche da qui, si. Matsuzaki mi ha dato e tolto. Ma questa è una costante allora!
Nel 2006 con la nascita di Bmac ho scoperto che in buona sostanza non tutti i giapponesi sono eguali, ci sono quelli buoni e quelli cattivi. Io ho preferito e scelto i buoni un po’ tipo come tra cowboys e indiani.
La storia potrebbe finire qui visto che mi porta ai giorni nostri e mi vede distributore per l’Europa di Bmac Scissors, brand destinato a divenire ben presto il numero uno al mondo, se non fosse che tutto questo è stato possibile grazie ad una persona speciale che mi è stata vicino negli ultimi venticinque anni e che mi ha reso un uomo migliore, un padre attento e amorevole e un visionario venditore di forbici di altissima qualità giapponesi.
Probabilmente senza di lei, ora sarei sdraiato al sole di qualche meravigliosa e sperduta spiaggia, nell’attesa del vento e dell’onda perfetta!